Ecco, ci siamo. O meglio, ci sono. Forse. Speriamo.
A breve Emma Books pubblicherà il capitolo (per il momento quello finale) della mia "serie blu" tardo-vittoriana, iniziata con Un amore di fine secolo e proseguita con La Traversata.
Il terzo capitolo della serie è dedicato a Ken Benton, incontrato in entrambi i precedenti romanzi. Nel primo era l'antagonista dell'eroe, l'altro insomma, ma poi mi ci sono talmente affezionata che ho voluto offrirgli una chance per riscattare la sua felicità e la mia coscienza. Onnipotenza degli scrittori! E così ho fatto, iniziando la sua storia con il prequel La Traversata. La Traversata è un romanzo breve, non auto-conclusivo, un prequel, insomma, in cui Ken incontra durante la traversata atlantica che lo porta da New York in Inghilterra la sua anima gemella, Priscilla Talbott. La trova, ma alla fine, la perde nelle nebbie di Liverpool, scherzetto che non è piaciuto a molte lettrici. :) Forse, con l'uscita di questo nuovo romanzo, conclusivo, verrò perdonata. Dstribuito presumibilmente verso la fine di maggio, UN AMORE DI INIZIO SECOLO - DI NUOVO INSIEME si svolge tutto (o quasi) in Inghilterra e vede finalmente il coronamento della storia d'amore di Ken e Priscilla. Li ho lasciati soffrire per un po' di tempo, ma poi, alla fine, spero di essermi fatta perdonare da entrambi.
Il terzo capitolo della serie è dedicato a Ken Benton, incontrato in entrambi i precedenti romanzi. Nel primo era l'antagonista dell'eroe, l'altro insomma, ma poi mi ci sono talmente affezionata che ho voluto offrirgli una chance per riscattare la sua felicità e la mia coscienza. Onnipotenza degli scrittori! E così ho fatto, iniziando la sua storia con il prequel La Traversata. La Traversata è un romanzo breve, non auto-conclusivo, un prequel, insomma, in cui Ken incontra durante la traversata atlantica che lo porta da New York in Inghilterra la sua anima gemella, Priscilla Talbott. La trova, ma alla fine, la perde nelle nebbie di Liverpool, scherzetto che non è piaciuto a molte lettrici. :) Forse, con l'uscita di questo nuovo romanzo, conclusivo, verrò perdonata. Dstribuito presumibilmente verso la fine di maggio, UN AMORE DI INIZIO SECOLO - DI NUOVO INSIEME si svolge tutto (o quasi) in Inghilterra e vede finalmente il coronamento della storia d'amore di Ken e Priscilla. Li ho lasciati soffrire per un po' di tempo, ma poi, alla fine, spero di essermi fatta perdonare da entrambi.
La mia serie blu (dal colore della copertina, non perché io mi senta Picasso) si compone di...
Un amore di fine secolo
maggio 2014 - EmmaBooks
È il 1898 e Camille Brontee, sfuggita al grigiore di Liverpool e della sua vita, sbarca a New York per andare incontro a un matrimonio combinato. Peccato che il promesso sposo, il “bastardo americano”, come subito lo soprannomina lei, non si presenti all’appuntamento. Per Miss Brontee inizia così l’avventura nel Nuovo Mondo, dove tutto è possibile, dove persino una donna può entrare a far parte di un universo tutto maschile come quello della redazione di un giornale, il Daily, e vivere una travolgente storia d’amore. Ma con chi? Con l’impacciato erede di un impero finanziario, Ken Benton, che la rispetta e la venera come una vestale, o con l’arrogante Frank Raleigh, spregiudicato editore del Daily, la cui sola vicinanza scatena in lei una guerra continua tra il cuore e la mente? Dovrà attendere gli ultimi sgoccioli del XIX secolo per scoprirlo...
Un Amore di Fine Secolo è un’appassionata quanto tormentata storia d’amore. Sullo sfondo, tra realtà e finzione: una New York moderna e vibrante, il mondo dell'editoria e della finanza, i capricci della high society, i conflitti sociali e le prime rivendicazioni femminili. Ma non solo. C'è un altro personaggio che sgomita e spinge lungo tutto il romanzo per emergere: è il Novecento, il nuovo secolo, con le sue promesse e le sue speranze. Per Camille, il secolo dell'amore.
La traversata - Un amore di inizio secolo
dicembre 2014 - EmmaBooks
Primo gennaio 1900. L’Oceanic II, il più moderno e
lussuoso transatlantico del mondo, salpa da New York alla volta di Liverpool. È
un piccolo mondo galleggiante dove, tra burrasche, feste in maschera e fiabe
che ritornano, tutto può accadere. Anche di incontrare il vero amore. Chissà se
accadrà a Ken Benton, ambito scapolo di New York in viaggio verso il Vecchio
Continente per dimenticare una storia finita male. O a Priscilla Talbott, la
misteriosa bibliotecaria di bordo che si esprime come una lady e di cui nessuno
conosce il passato. Ma il nuovo secolo in fondo è appena cominciato, e la
parola speranza è sulla bocca di tutti. Il romanzo breve Un amore di inizio
secolo - La traversata inizia dove Un amore di fine secolo terminava
ed è dedicato a Ken Benton, uno dei protagonisti più amati dalle lettrici del
precedente capitolo. Ma attenzione: la storia di Ken comincia sull’Oceanic, ma
non è sull’Atlantico che si concluderà. Poi non dite che non ve l’avevamo detto.
coming soon
È a
Londra, nella capitale del più potente impero del pianeta, che Ken inizia la
sua ricerca di Priscilla e, forse, di un nuovo amore. Sullo sfondo, il XX
secolo compie i suoi primi passi...
L'incipit
1
3 marzo 1900
Ken
Benton scese gli scalini della sua nuova residenza londinese, nella prestigiosa Eaton Square. La piazza, oblunga e
con sei splendidi giardini privati nel centro, era stata progettata e costruita
nel secolo precedente dal secondo conte di Grosvenor, in seguito Duca di
Westminster, così come le vicine Belgravia e Chester Square.
Secolo
precedente: ma lo si poteva definire veramente così?
Ken
Benton, che aveva visto la luce a Brooklyn nel settembre del 1870, non si era
ancora abituato a considerare il XIX secolo come un’epoca da dimenticare né,
per la verità, ad accettare i toni roboanti dei giornali quando parlavano del ‘900,
destinato, scrivevano, a grandi cose.
Cose grandi come la guerra dei Boeri,
rifletteva Ken, sarcastico. In fondo, i morti per la conquista di nuove terre e
ricchezze non differivano poi tanto da quelli del secolo precedente, e
l’Inghilterra, in quella corsa al dominio, deteneva ancora il primato.
Montando
sulla carrozza che ogni giorno alle otto precise veniva a prelevarlo per
portarlo alla filiale londinese della Benton Bank, nella City, levò gli occhi
alla perfetta facciata di stucco bianco della sua nuova casa, uguale alle altre
che contornavano il lato nord della piazza, e ancora una volta scosse la testa,
pensando alla cifra spropositata e del tutto inutile investita nell’affitto,
visto che tra quelle mura ci dormiva soltanto.
E,
per dormire, mille metri quadrati di puro lusso erano davvero tanti.
Non
che la scelta di suo padre fosse stata ridondante senza un motivo.
Nient’affatto. Quello, infatti, era uno dei quartieri di Londra più esclusivi,
dove abitavano solo nomi altisonanti dell’aristocrazia, conti, duchi e
marchesi, gente che, sempre secondo suo padre, gli sarebbe stato utile
conoscere per il lavoro. «Capitale per la banca» li aveva definiti, senza
supporre che molti di quei nobili non avevano più il becco di un quattrino. Il
denaro ormai, anche nella aristocratica Inghilterra, non si fregiava più di un
titolo nobiliare.
«Buongiorno
Bob» disse al cocchiere.
«Buongiorno
Mr Benton. Brutta nebbia oggi.»
Ken
gli sorrise e si accomodò sulla vettura respirando l’acre odore dello smog
londinese di cui, ormai, doveva aver tappezzati i polmoni. Nato e cresciuto a
New York, dove il freddo dell’inverno poteva essere inclemente ma dove l’aria
era sempre pulita grazie ai venti che andavano e venivano dall’oceano, non si
era ancora assuefatto al clima umido e spesso opprimente di Londra, al tanfo
quasi solido che la nebbia portava con sé e che arrivava da sud, dalle fabbriche
e dai ghetti insalubri dove giorno dopo giorno si riversavano dalla campagna
migliaia di persone.
A
Londra, nel 1900, si contavano circa sei milioni di abitanti, un numero di
anime spropositato di cui ancora non riusciva a capacitarsi.
«La
posta del mattino e il Times,
signore. Buona giornata.»
Con
quella frase, tutti i giorni la stessa, il suo cameriere personale, James, che
lo serviva da quando non aveva più avuto una bambinaia tra i piedi, gli
consegnò il plico della corrispondenza appena arrivata, che lui, come sempre,
avrebbe letto durante il tragitto sino alla City. Una mezz’ora che, nelle sue
giornate piene di impegni, non sarebbe andata sprecata.
«Grazie,
James, buona giornata anche a te.»
La
portiera si chiuse e l’hackney si
mosse in direzione di Buckingham Palace, per imboccare quindi il Mall e Fleet
Street sino alla City.
New
York era grande, certo, ma non era che un villaggio in confronto a Londra.
D’altronde, non era quella la capitale dello Stato più potente della Terra?
L’Impero della Regina Vittoria abbracciava più di mezzo mondo ed era in perenne
espansione, se così, con un eufemismo, si poteva descrivere la fame
colonialista del Regno.
Be’,
loro, gli yankee, come certi boriosi
aristocratici continuavano a definirli con un sorrisetto arrogante sul volto,
gliel’avevano fatta vedere. A Boston il tè di sua Maestà era finito nelle acque
dell’oceano. Poi la Rivoluzione Americana aveva fatto il resto.
Per
quanto fosse nato circa cent’anni dopo gli eventi che avevano condotto i coloni
a ribellarsi alla Corona, Ken Benton sentiva battere nel cuore un palpito di
orgoglio al pensiero di come la sua Nazione, la sua giovanissima Nazione, si
stesse preparando a superare la Vecchia Europa a colpi di progresso. Perché,
nonostante gli enormi problemi e le disparità e le contraddizioni del suo
territorio immenso e in gran parte ancora selvaggio, l’America stava marciando
verso il futuro a una velocità doppia, se non tripla, rispetto al resto del
mondo. E lui, quella velocità, la sentiva correre dentro di sé, insieme al suo
sangue yankee.
Superato
Buckingham Palace, Ken si concentrò sulla posta giunta quella mattina. Quasi
tutta corrispondenza personale, visto che le comunicazioni d’affari gli
arrivavano in ufficio. Inviti a serate, a cene in club esclusivi e ristoranti
alla moda, a teatro, all’opera. Sembrava che in quel Paese gli obblighi sociali
fossero addirittura più pressanti che nel suo. E la Stagione, a quanto gli
avevano spiegato, non era che all’inizio, visto che andava di pari passo con
l’apertura delle due Camere del Parlamento.
Di
certo gli inviti si sarebbero moltiplicati da lì a poche settimane, quando
tutte le famiglie aristocratiche d’Inghilterra si fossero riversate dalle loro
tenute di campagna nelle case della capitale, pronte a gettarsi in una
girandola di impegni mondani come animali appena usciti dal letargo sul cibo.
Be’,
in fondo era per quello che era venuto sino a Londra. Per stringere nuove
alleanze, per trovare nuovi clienti, per mostrare a questo vecchio mondo che la
Benton Bank non era solo un salvadanaio dove deporre le proprie fortune, ma
anche un’utile alleata nello sviluppo dei propri interessi e progetti.
Lo hackney si infilò nella City per
fermarsi, pochi minuti dopo, di fronte al palazzo della Benton Bank, progettato
dal famoso architetto Arthur Blomfield e dal figlio di questi, Arthur Conran.
Un edificio lineare, moderno ed elegante che faceva apparire dinosauri di
pietra le vicine e monumentali sedi delle banche dei Rotschild e dei Barclay.
Ken
non attese che il portiere gli aprisse la portiera e come sempre saltò giù
dalla carrozza senza dare troppo peso alle formalità. D’altronde, nella City,
tutto scorreva veloce e di tempo per cerimonie inutili non ce n’era.
Il
valletto all’ingresso gli diede il buongiorno mentre lui già si infilava nella
porta girevole.
«Buongiorno
Mr Benton» lo salutò il suo segretario che, come di consueto, lo attendeva nel
grande atrio con l’agenda degli appuntamenti in mano.
«Buongiorno
a voi, Stuart» rispose porgendogli la posta del mattino, suddivisa in due
mucchi distinti, accettare e rifiutare.
Senza
smettere di parlare, i due uomini si diressero a passo veloce verso gli
ascensori ma, invece di infilarsi in una delle tre cabine in attesa, presero le
scale e salirono a piedi al primo piano dove, tra un buongiorno Mr Benton e l’altro, raggiunsero l’ufficio di Ken.
«Chi
è il mio primo appuntamento, Stuart?»
«Richard
Burbridge, amministratore dei grandi magazzini Harrod’s.»
*
Un
paio di ore più tardi, mentre Ken e Burbridge discutevano ancora i termini del
finanziamento per la costruzione di una nuova sede dei grandi magazzini in
Brompton Road, l’interfono trillò. Sulle prime Ken non poté evitare
un’espressione di disappunto, ma poi ci ripensò visto che era insolito che
Stuart lo disturbasse durante un incontro importante.
«Perdonate
un istante, Mr Burbridge» disse portandosi la cornetta all’orecchio.
Che
ci fossero notizie preoccupanti dalla Borsa, o forse da casa? Quella pazza di
sua sorella sembrava essersi invaghita di un architetto…
«Scusate
se vi disturbo, Mr Benton…»
«Spero
che sia molto importante, Stuart.»
«Mr
White, signore, chiede di voi. E Mr White, come vi siete raccomandato più
volte, ha priorità su tutto.»
A
Ken sembrò che il respiro gli si fermasse in gola. Fissò Burbridge cercando di
sorridere, ma non ci riuscì. Che White l’avesse trovata? Che almeno avesse
notizie utili?
«Scendo
subito, pregatelo di aspettarmi alla recepetion, Stuart» rispose. Poi, rivolto
al suo ospite: «M-Mr Burbri-idge, mi co-concedete cinque mi-inuti per
p-piacere?» Dannazione alla balbuzie!
«Ma
certo, Mr Benton, ma in cambio pretenderò un occhio di riguardo per il nostro
piano di investimento…» scherzò l’uomo.
«F-Forse,
Mr Burbridge, forse.»
E,
senza un’altra parola, Ken uscì dall’ufficio.
*
Mr
White lo attendeva al banco della reception. Era un uomo di mezz’età che aveva
lavorato per due decenni a Scotland Yard e che da qualche anno aveva aperto una
sua agenzia investigativa. Aveva due occhi scuri e pungenti che non smettevano
di guardarsi attorno e stringeva una pipa tra i denti, forse per emulare il suo
più famoso collega Sherlock Holmes. Ken si era rivolto a lui poco dopo essere
sbarcato dall’Oceanic II, circa due
mesi prima, quando la White Investigation
Agency era assurta agli onori della cronaca per aver risolto con successo
il caso di una donna scomparsa. Tuttavia, fino a quel giorno, nonostante la
fama che lo precedeva e i soldi che già si era intascato, Mr White non era
stato in grado di fornirgli un solo indizio di dove diavolo fosse finita Priscilla
Talbott. Miss Talbott, la deliziosa bibliotecaria che aveva incontrato sull’Oceanic II, la donna misteriosa che
aveva trasformato una traversata fredda e solitaria in sei giorni che non
avrebbe mai dimenticato. Dannazione! Prima, con quei suoi occhi blu gli aveva
fatto perdere il senno, poi, neanche fosse Houdini, si era dileguata nella
nebbia di Liverpool sfuggendogli da sotto il naso. Ken era ancora furente per
lo scherzo che gli aveva giocato, eccome se lo era, ma soprattutto era
preoccupato.
Mr
White, vedendolo arrivare, scattò quasi sull’attenti, abitudine probabilmente maturata
negli anni in polizia.
«C’è
un posto dove possiamo parlare in privato, Mr Benton?»
«Avete
no-notizie?»
L’uomo
assentì, guardandosi intorno come se temesse che ci fosse qualche spia in
agguato e ribadendo così la sua
richiesta di recarsi in un luogo riservato.
«S-seguitemi»
disse Ken infastidito, precedendolo in un salottino e prendendo posto intorno
al tavolo che costituiva, insieme a un piccolo attaccapanni, l’unico mobilio
della stanza.
White
gli sedette di fronte.
«Dunque,
p-potete infine darmi notizie di Miss T-Talbott?»
«A
dire il vero, non sono in grado di fornirvi gli spostamenti di Miss Talbott
dopo lo sbarco dall’Oceanic e non so
neppure dirvi dove la signorina si trovi in questo momento, Mr Benton.»
Ken
lo guardò senza nascondere la propria insoddisfazione.
«Ma
ho finalmente scoperto il nome completo della sua famiglia di origine.»
White
fece una pausa a effetto che non fece che irritare Ken ancor di più.
«E
allora?» lo incitò.
«Miss
Priscilla Talbott non è una commoner,
una qualsiasi borghese, è la figlia del conte di Alberly, George Hammersen
Talbott. Voi sapete come funziona con gli aristocratici, in Inghilterra?»
A Benton
vennero in mente un paio di battute non proprio signorili, ma se le tenne per
sé.
«Non
ne sono p-più certo, a questo punto.»
«È
molto semplice, in realtà. Un nobile titolato non usa mai il proprio cognome.»
«Troppo
p-plebeo o troppo sensato?» chiese Ken con un sarcasmo per nulla velato.
White,
da britannico orgoglioso, ignorò la battuta.
«I
nobili in Inghilterra vengono chiamati con il loro titolo, non con il cognome
di famiglia. Per fare un esempio, nessuno chiamerà mai il conte di Alberly
George, o Hammersen o Talbott, ma solo Lord Alberly o, se in confidenza,
Alberly.»
«Molto
interessante, White. Cosa c’entra tutto ciò con P-Priscilla?» L’irritazione di
Benton era salita di un altro grado.
«Arrivo
subito al punto, sir. Se il primo
cognome del conte, Hammersen, è conosciuto a pochi, reputo che il secondo,
Talbott, sia sconosciuto a tutti. Non è un caso che Lady Priscilla Alberly –
questo è il modo corretto in cui dovreste rivolgervi a lei – abbia scelto di
farsi chiamare proprio Talbott, desiderando rimanere nell’ombra; una mossa
astuta per far perdere le sue tracce a eventuali inseguitori, negli Stati Uniti
come nel Regno Unito. Se mi aveste chiesto di rintracciare Miss Hammersen e non
Miss Talbott, avreste risparmiato tempo e denaro.»
«E
non avrei avuto bisogno dei vostri servigi, Mr White» rispose Ken, secco.
Priscilla la figlia di un pari
d’Inghilterra? Ciò giustificava le sue maniere impeccabili, la sua cultura
e quel tocco di ironica presunzione che, nonostante gli sforzi, non riusciva a
nascondere.
«Quello
che non capisco» disse Ken, come a se stesso, «è che bisogno aveva la figlia di
un conte di imbarcarsi su una nave come bibliotecaria.»
«Stavo
per arrivarci, Mr Benton. Ci sarebbe anche un altro fatto importante…» disse il
detective gonfiandosi come un pavone.
«Dite,
vi ascolto» lo incalzò Ken con un brutto presentimento.
«Priscilla
Talbott non è solo la figlia del conte di Alberly, ma è anche la moglie del
senatore degli Stati Uniti d’America Robert Roolick.»
A quella
notizia Ken abbandonò ogni pretesa di calma e, scattando in piedi, urlò un «Cosa?» tanto oltraggiato che White arretrò
leggermente col busto, quasi per proteggersi dallo spostamento d’aria. Non
conosceva Roolick personalmente, ma ciò che aveva sentito di lui non era
affatto lusinghiero. E poi, dannazione, doveva avere almeno cinquant’anni!
«Ebbene
sì, Mr Benton. Lady Priscilla Alberly si è unita in matrimonio col senatore
Roolick a Londra nel 1897, poi lo ha seguito a Washington.»
Priscilla
sposata! Non era possibile.
«Non
sapete altro?» si sforzò di chiedere mentre i suoi pensieri prendevano mille
direzioni diverse.
«Al
momento posso solo presumere che Lady Priscilla Alberly, dopo aver lasciato l’Oceanic II il sei dello scorso gennaio, si
trovi ancora in Inghilterra, a meno che non si sia servita di un’imbarcazione
privata per raggiungere il continente. Nessuna Priscilla Talbott risulta
infatti iscritta nei registri di passeggeri e personale delle linee che
collegano il Regno Unito con l’Europa. E, in quanto all’Irlanda, se quella
fosse stata la sua meta, perché non sbarcarvi direttamente, visto che l’Oceanic vi ha fatto tappa?»
Ken
rifletté su quelle ultime informazioni, poi chiese, preoccupato: «Escludete,
dunque, che abbia proseguito il viaggio verso un altro stato europeo?»
Mr
White sbuffò del fumo e gli puntò contro la pipa. «In mancanza di altri indizi,
credo di poter affermare che la donna che cercate si trovi ancora nel Regno
Unito e che il suo ritorno in patria, imbarcata come aiuto-bibliotecaria su un
transatlantico e non su una cabina di prima classe, possa significare solo che…»
«…che
stava fuggendo dal marito» concluse Ken, risedendosi pesantemente sulla sedia.
Non
solo Priscilla era un’aristocratica e la moglie di un senatore degli Stati
Uniti, ma era anche una donna in fuga. Dove si nascondeva? Come riusciva a
sopravvivere?
«In
ogni caso, non dubitate, Mr Benton, la troverò» aggiunse White porgendogli una
busta piuttosto voluminosa. «Qui troverete il rapporto completo. Conto di aggiornarvi
presto con altre informazioni.»
Ken,
preso alla sprovvista da quell’ultima notizia, cercò di ricordare se mai,
durante la traversata, Priscilla avesse rivelato, col suo comportamento o le
sue parole, di essere una fuggitiva. E se fosse stata in pericolo? Se si fosse
trovata in difficoltà economiche così stringenti da mettere a rischio la
propria sicurezza?
Afferrò
la busta e stringendone i bordi come se volesse strozzare qualcuno, disse: «V-voglio
sa-sapere tutto sul senatore Roolick, ogni dettaglio della sua vita».
«Mi
sono già permesso di inviare un telegramma alla sede di Washington dell’agenzia
Pinkerton con cui spesso
collaboriamo. Presto avremo altri elementi su cui indagare. Potrebbe esserci un
amante…»
Un
amante, Priscilla? No, non era possibile.
«Mr
White, vi prego di non mancare di r-rispetto a Miss Talbott…»
«Lady
Priscilla Alberly, Mr Benton, o Mrs Roolick. Non più Miss Talbott. E,
credete, non volevo affatto mancare di rispetto alla signora. Era la voce
dell’esperienza a parlare per me.»
Ken
fece un segno di impazienza con la mano. «In ogni caso, non abbandonate le
ricerche qui nel Regno Unito, e impiegate tutte le risorse necessarie per
trovare Miss Talbott, o come diavolo si chiama quella donna. Desidero ricevere
ogni mattino un rapporto sull’andamento delle indagini. Ora, se permettete»
disse alzandosi in piedi e dirigendosi alla porta, «sono piuttosto occupato.»
«Sarà
fatto» rispose il detective con un piccolo inchino.
Ken
affidò White a Stuart e poi, a grandi falcate, se non di corsa, tornò nel suo
ufficio, indifferente alle occhiate perplesse degli impiegati che lo salutavano
e che lui neppure vedeva. Voleva concludere presto la trattativa con Burbridge
e poi dedicarsi al rapporto di White.
Che
Priscilla fosse una contessa non gli importava molto, ma che fosse una donna in
fuga, e forse con un amante, be’... quella era tutta un’altra storia.
***
La
giovane donna che rispondeva al nome di Priscilla Talbott, o di Lady Priscilla
Alberly o ancora di Mrs Robert Roolick, in quello stesso momento si trovava
nell’Essex in un cottage isolato all’interno della principesca tenuta della sua
madrina, la duchessa di Monrose. In quel cottage, riparata da sguardi
indiscreti, ripensava al proprio passato e tesseva piani per il futuro.
Non
che fino a quel momento avesse tessuto granché. Forse perché aveva esaurito
tutto il suo coraggio e le sue risorse, nel tentativo, più che riuscito, di
rientrare in Inghilterra in un modo che aveva a dir poco dell’avventuroso,
ovvero imbarcandosi su un transatlantico non come una passeggera di prima
classe, ma in forza al personale della nave, con il curioso incarico di
aiuto-bibliotecaria.
Era
stata una vera benedizione che, per un fortuito insieme di circostanze, fosse
riuscita a ottenere quel posto sull’Oceanic
II. In primo luogo perché era fuggita da Washington con solo una manciata
di dollari che aveva sottratto come una ladra a suo marito e che non sarebbe
bastata neppure per acquistare un biglietto di terza classe; e in secondo luogo
perché, mimetizzata tra il personale della nave, era riuscita a nascondersi
agli scagnozzi che di certo il suo consorte aveva sguinzagliato lungo tutta la
costa est degli Stati Uniti.
Ottusi
bastardi!
Probabilmente
avevano messo a ferro e fuoco le liste passeggeri di tutte le navi in partenza
dagli Stati Uniti in cerca di una Lady Priscilla Alberly o di una Mrs Roolick,
non avevano però neppure pensato di cercare una Talbott in forza agli
equipaggi.
Un
sorriso piegò le sue belle labbra, nonostante il pensiero di cosa le sarebbe
potuto accadere se l’avessero trovata e riportata a lui non la lasciasse mai. Ma non era successo e ora era a casa,
sana e salva.
Non
proprio, non ancora.
Con
l’aiuto del cielo e della sua madrina, però, lo sarebbe stata presto.
Forse.
Proprio
in quel momento la duchessa di Monrose fece il suo ingresso nel cottage, in
perfetta tenuta da amazzone verde acqua.
«Bambina
mia, ho buone notizie per te!»
«Davvero
ne avete, madrina?» disse Priscilla correndo verso di lei e fissandola speranzosa.
«Sì,
i miei ospiti se ne andranno domani, così potrai smettere di rimanere rintanata
qui dentro» rispose con un eloquente gesto della mano.
Priscilla
aveva sperato in qualcosa di più concreto, come nella risposta di Mr Simmons,
l’avvocato di sua grazia. Sospirò, ripetendosi per l’ennesima volta che doveva
avere pazienza. «Sì, ma…» disse esitante.
«Continua,
Priscilla» la esortò la duchessa.
«Non
potrò mai ringraziarvi abbastanza per l’ospitalità e il sostegno che mi
offrite, ma vorrei poter fare qualcosa di più, non rimanere qui ad aspettare
che qualcosa succeda. Vorrei agire, risolvere la situazione…»
«Non
correre, bambina mia, non correre. In certi casi la strategia migliore è la
pazienza. In fondo, quell’animale di tuo marito si trova dall’altra parte dell’oceano...»
Priscilla
sentì un brivido percorrerla. «Il punto è, madrina: per quanto ancora? Non
rinuncerà a me tanto facilmente… Sono certa che avrà già mandato qualcuno dei
suoi uomini a cercarmi a Londra.»
«Ed
è proprio questa la ragione per cui ti nascondi in un cottage, nella campagna
dell’Essex, dove nessuno può trovarti…» sospirò sua grazia. «Ma, tutto sommato,
non è un errore cominciare a pensare al futuro e mettere le basi per la tua
nuova vita.»
Priscilla
sospirò cercando di tenere a bada l’agitazione che ormai non la lasciava mai. «Per
poterlo fare, devo cancellare quella precedente dai miei ricordi, madrina.» E dalla mia pelle.
La
nobildonna prese per mano la figlioccia. «Vieni, sediamoci davanti al camino
che sono gelata!» disse prendendo posto mentre Abigail, l’anziana domestica che
conosceva Priscilla da sempre e che si era trasferita nel cottage con lei,
entrava con un vassoio che profumava di dolci appena sfornati.
«Vostra
grazia» disse la donna senza sprecare energie in inchini o altre cerimonie, «se
Prissy non si decide a mangiare qualcosa, come farà a trovare un altro marito?
È tutta ossa!»
Prissy,
ovvero Priscilla, alzò gli occhi al cielo. «Abigail, quante volte ti devo dire
che non intendo trovare un nuovo
marito, ma solo liberarmi di quello che purtroppo ho già?»
La
duchessa sorrise. «Abigail ha ragione, Priscilla. Se vuoi lottare per
riconquistare la tua libertà e occupare il posto che meriti in società, devi
essere in forze. Devi mostrarti al mondo al massimo del tuo splendore.
Un’aristocratica capace di dominare la propria vita.»
Priscilla
alzò le sopracciglia, perplessa. In America aveva imparato che ci volevano
potere e denaro per essere padroni della propria vita, non un titolo. E lei non
possedeva che quello. Senza contare che non poteva certo sperare nell’aiuto del
padre, dal momento che era stato proprio lui a venderla a Roolick.
«Abigail,
prenderò anch’io una tazza di tè e una fetta di…» disse la duchessa guardando
il vassoio.
«Crostata
al rabarbaro, vostra grazia.»
«Uhmmm,
la mia preferita. Anche Prissy ne prenderà un po’, vero, tesoro?»
Priscilla
cercò di protestare, ma alla fine si ritrovò con una grossa fetta nel piatto. «Umm,
è davvero ottima, Abigail» ammise dopo averne assaggiato un boccone. Quindi,
rivolgendosi alla duchessa, chiese ciò che più le premeva sapere: «Madrina, per
caso avete ricevuto nuove da Mr Simmons?»
La
duchessa terminò di bere il suo tè e depose con un gesto grazioso tazzina e
piattino sul vassoio. «No, mia cara, ma confido nell’esperienza e nella
sollecitudine di Mr Simmons. E, in ogni caso, appena compirai i venticinque
anni, sarai del tutto affrancata dalla tua famiglia di origine e ci sposteremo
a Londra. In fondo mancano solo due settimane al ventuno di marzo, no? Il primo
giorno di primavera e della mia Priscilla…»
Priscilla
sospirò, leggermente irritata dai tentativi della duchessa di farle apparire il
futuro tutto rose e fiori. Altro che primavera! Il gelo che sentiva dentro era
quello di un inverno artico.
«Non
so neppure se avrò la forza di tornare a Londra e affrontare quel circo. Non
sono più la stessa ragazzina di un tempo, tanto stupida e ingenua da credere a
tutte le fiabe che le venivano raccontate.»
Fiabe?
Sarebbe stato meglio chiamarle con il loro nome, frottole.
La
duchessa sorrise alla sua protegée. «Neppure
a Cenerentola credi più, piccola mia? Ricordo ancora come ti illuminavi quando
la leggevamo insieme…»
«Sapete,
madrina, che il libro di fiabe che mi avete regalato per il mio sesto
compleanno e sul quale ho imparato a leggere ha attraversato l’oceano insieme a
me per ben due volte? Non me ne sono mai separata.»
«Davvero
ce l’hai ancora?»
«Dal
giorno che me l’avete donato non l’ho mai lasciato.»
Sua
grazia, una donna che difficilmente permetteva alle emozioni di avere la meglio
sul controllo, si asciugò di soppiatto una lacrima e, con la scusa di dover
tornare dai suoi ospiti, lasciò in fretta e furia il cottage.
«Ho
visto poche volte sua grazia versare delle lacrime. Sono contenta che l’abbiate
fatta piangere, Prissy, così ogni tanto si ricorda di essere umana» disse
Abigail con fare rude.
Priscilla
sorrise. «Le voglio bene come a una madre e vorrei non vederla in pena per me.»
«E
lei vi vuole bene come se foste figlia sua. Vedrete, vi aiuterà a sistemare le
cose. Su, ora, prima che ci mettiamo tutte quante a frignare, perché non andate
a prendere una boccata d’aria? La giornata è bella e camminare vi farà bene.»
Priscilla
si diresse a una delle piccole finestre del cottage e fissò per qualche istante
l’erba della radura mossa dal vento e le morbide colline all’orizzonte; poco
per volta osservò la loro forma mutare e trasformarsi nelle onde irrequiete
dell’Atlantico. In un istante fu di nuovo sull’Oceanic II, accanto a Ken Benton: lui le sorrideva e, con quella
sua lieve e adorabile balbuzie, le prometteva che tutto sarebbe andato bene.
«Allora,
Prissy, la vostra passeggiata?»
Le
onde dell’Atlantico tornarono a essere i verdi prati dell’Essex e Ken Benton
ritornò al caldo, nell’angolino che ormai occupava nel suo cuore.
«Sembra
quasi che tu voglia liberarti di me, Abigail!»
«Voglio
solo che ritorni un po’ di colore su quelle belle guance, siete pallida come
uno straccio, piccola mia.»
«Vado,
vado, in fondo hai ragione: due passi e un po’ di aria fresca mi faranno bene.»
Fatemi sapere se l'incipit vi è piaciuto!
Yours truly
Viviana