martedì 18 marzo 2014

IL ROMANCE QUESTO BISTRATTATO. CAPITOLO 1: TERAPIA ROMANCE

Dedicato a tutti coloro che storcono il naso o si esibiscono in un sorrisino sarcastico quando sentono pronunciare la parola ROMANCE. 
Vorrei oggi raccontarvi i motivi che mi hanno portata a scrivere romance (aspettate a dire che palle!), per arrivare al termine di questo breve post a esprimere un concetto molto semplice: leggere romance (e anche scriverlo) fa bene. Credo che anche il Dr. House mi darebbe ragione.
Fino a qualche anno fa non leggevo romance. Sì, conoscevo la Heyer, la Du Maurier e Costance Heaven, fantastiche; mi ero appassionata ai grandi romanzi del '700 e dell'800 inglese, Austen e Dickens in testa, naturalmente, ma di romance contemporaneo (ovvero quello post anni '70) non ne sapevo un'acca (non che adesso ne sappia molto, ma un pochino di più, sì). Sono stati Susan Brockmann e i suoi Troubleshooters ad aprirmi qualche anno fa a questo nuovo mondo, imperfetto, certo, ma affascinante. Era un periodo non molto felice per me e presto scoprii che
leggere di navy seals ultra sexy e duchi e conti libertini mi faceva sentire meglio. Era un po' come una valvola di sfogo, insomma, o, meglio ancora, come una terapia. Dalla lettura (ne avevo da recuperare tra storici e contemporanei!) il passo alla scrittura è stato piuttosto veloce perché, lavorando già con le parole, non avevo difficoltà né con la tastiera né con le idee. Così ci ho provato, più per me stessa che per degli eventuali lettori. Il mio primo romanzo? Un regency pubblicato on line a puntate dal titolo Zitta e ferma Miss Portland! che prima o poi sistemo e recupero, devo farlo per affetto verso i miei primi due protagonisti (per la cronaca, fu rifiutato sia da Harlequin che da I Romanzi Mondadori, di certo per ottime ragioni). Ma quanto mi sono divertita a scriverlo, puntata dopo puntata, come un feuilleton d'altri tempi! Mi sedevo davanti al computer con la mia grigia faccia quotidiana, senza sapere che cosa avrebbe combinato quel giorno Miss Portland e, quando terminavo, Miss Portland ne aveva combinata un'altra e io avevo un bel sorriso stampato sulle labbra. Ok, forse qualcuno mi prenderà per una squilibrata adesso, ma giuro, funzionava proprio così. 
Da quei tempi, mi sono cimentata anche con altri generi (in particolare con il thriller che è la mia grande passione), ma ogni volta arrivavo sempre al punto in cui la trama piegava  diabolicamente verso il rosa (quello più squillante). Ci deve essere una ragione se all'improvviso tutto si macchia di rosa e non di rosso sangue, mi sono detta. E una ragione l'ho trovata, semplice e diretta: il romance, con il suo rassicurante happy ending, fa bene, ma proprio bene, alla salute. È una terapia fenomenale e antiossidante contro il grigio della quotidianità (ed è pure una terapia di coppia, a sentire qualcuno), meglio di un prozac. Certo, una bella cucchiaiata di romance al dì ha pure i suoi bravi effetti collaterali, non posso nasconderlo: come il sorridere o sospirare di continuo come degli idioti durante la lettura; o sentire il cuore partire al galoppo insieme a quello della protagonista; nei casi più gravi si arriva persino a non rispondere al telefono o a dimenticarsi di un appuntamento; e in quelli gravissimi, a scordarsi il bambino a scuola o all'asilo (come? cosa? aiuto!!!). 
Non che tutti i romance siano dei capolavori (non è affatto così e non potrebbe neppure esserlo), ma se vi capita di trovarne uno che vi acchiappa, per quelle trecento pagine sarete delle persone felici.  Sappiatemi dire. 

Yours truly
                  Viviana





E se vi va di leggere un piccolo estratto di Miss Portland... le voilà!



Le scuderie occupavano una costruzione sul lato ovest dall’edificio principale della tenuta, in perfetta armonia con lo stile Tudor di tutto il complesso. La pesante porta cigolò quando Sophie la aprì: un odore acre di stallatico e di umidità la raggiunse, un tipica, rassicurante e poca romantica puzza di stalla. La luce proveniente dalle finestre era fioca, il silenzio totale, rotto solo dai movimenti dei cavalli e dal loro respiro pesante. Sophie non si ingannava, sapeva perfettamente che Maylon era lì, a pensare, a far sbollire la sua rabbia, a meditare vendetta. Come un bambino. L’idea di Thomas bambino le regalò un improvviso fremito di tenerezza.
“Thomas?” chiamò, percorrendo il corridoio su cui si aprivano i box dei cavalli. Riconobbe Puffy, il baio di Maylon, ed istintivamente entrò in quel box. E lì lo vide. Appoggiato a una parete, una gamba piegata, le braccia conserte, l’espressione ostile. Maylon si era tolto la giacca, e la camicia bianca era aperta sul petto, come se un improvviso desiderio di libertà lo avesse portato a snodarsi con furia la cravatta. Per non soffocare.
Bello da morire,  da perdere la testa.
Sophie inspirò quasi rumorosamente, per nascondere il turbamento  che il solo vederlo le aveva suscitato.
 ”Giocate a nascondino, my lord?” chiese regalandogli il suo più affascinante sorriso.
“Non proprio, volevo rimanere da solo. Cosa ci fate qui, e vestita in quel modo?”
“Credevo poteste avere bisogno di me. O non avete abbastanza considerazione per me da consentirmi di condividere le vostre preoccupazioni?”

Lui non rispose, ma si avvicinò, pericolosamente. Con gli occhi socchiusi e infuriati che sembravano cercare Sophie  con un solo scopo: quello di scaricarle addosso, nel modo più brutale, la sua rabbia e la sua frustrazione.
”Siete venuta ad alleviare le mie preoccupazioni, dunque? Ve ne sono obbligato. Avreste potuto dimostrarmi la vostra amorevole comprensione prima,  quando ne avevo più bisogno, e non il vostro totale, indiscriminato disprezzo.”
Avanzò ancora.

Sophie indietreggiò finchè si ritrovò contro la parete del box. Puffy emise uno sbuffo di disapprovazione.
”Non era disprezzo, Thomas. Era lo sconforto per vedervi ancora una volta preda di una collera ingiustificata.”
”Oh, al contrario era molto giustificata.” Maylon continuava ad avanzare verso di lei. Lo sguardo impenetrabile.
“Non avete ascoltato una sola parola di ciò che Mark vi ha detto. Avevate già stabilito l’ordine dei fatti, giudicato il colpevole ed eravate pronto ad emettere la vostra sentenza di colpevolezza…”
“Mentre il vostro ruolo, Miss Portland, era come sempre quello dell’avvocato difensore di Mark. Cosa ha lui più di me, per avervi sempre dalla sua parte?”

“Non siate cieco, my lord, ed insensato. Sapete benissimo da che parte ho deciso di stare, e per tutta la vita, se anche voi lo vorrete. Ma ciò non mi impedisce di dirvi ciò che penso. Siete stato troppo impulsivo, ed arrogante. Mark non ha fatto nulla di male..”
”Mark, ancora Mark! Non voglio più sentirvi pronunciare il suo nome.” Maylon era troppo vicino, adesso.
“Che intenzioni avete, Thomas?”
Era una domanda retorica, perché non era difficile capire quali fossero.

“Siete venuta per aiutarmi, vero? Per calmare la mia rabbia. Allora aiutatemi come farebbe una donna con il proprio uomo. Non come una vergine ritrosa.”
”Non sono una vergine ritrosa!” cercò di protestare Sophie mentre Maylon la bloccava con le sue braccia schiacciandola contro la parete con tutta la forza del suo corpo.
”Lo vedremo…” rispose, mentre la sua bocca cominciava ad esplorare il viso Miss Portland prima di imposessarsi della sua bocca. Sophie non rispose a quel bacio, cercò di scostarsi, ma lui non glielo permise. Al contrario, tenendola bloccata contro la parete, cominciò a muoversi sempre più esplicitamente contro di lei, mentre  la sua mano destra indugiava sul seno per poi spingersi sempre più in basso.
Sophie si irrigidì.
“State cercando di riversare la vostra frustrazione su di me, my lord? Non ve lo permetterò.”
“Come farebbe una vergine ritrosa.”
“Vi ho già detto di non chiamarmi così!” sbottò SOphie che, sorprendendo se stessa,  tentò di colpirlo al basso ventre con una ginocchiata.
D’istinto lui si allontanò, evitando il colpo, mentre Sophie, temendo la sua reazione,  riuscì a sfuggirgli e a ripararsi dall’altra parte del box, dietro a Puffy. Lì, buttata sulla paglia,

insieme alla giacca di Thomas, vide la sua spada. La sua bella,  nuova  spada proveniente da Toledo: sembrava chiamarla, ipnotizzarla quasi, con la sua elegante elsa, la lama brillante e affilata. Una tentazione cui non seppe resistere: seguendo un pericoloso istinto, Sophie la raccolse e la impugnò. Era molto più pesante del fioretto cui era abituata, e l’impugnatura era troppo grande per la sua mano, ma riuscì ugualmente a tenerla sollevata in posizione di guardia.
”Bella spada, my lord”, fece provocandolo. Aveva bisogno di provocarlo, perché il suo piano andasse in porto.

“Sophie, mettetela giù subito, potreste farvi del male.”
”Non ci penso neppure, Thomas. Una vergine ritrosa deve pur difendersi: non mi sembra che le vostre intenzioni fossero onorevoli...”

“Sophie – la sua voce era decisamente alterata-, mettete giù quella spada, prima che debba togliervela di mano con la forza.”
”Provateci, se ci riuscite.”
Thomas alzò gli occhi al cielo.

“Se sono le mie scuse che volete, vi chiedo scusa, ma ora lasciate quella spada, ve lo ordino.”
Sophie, brandendo la lama e sorridendo compiaciuta, stava avvicinandosi alla porta del box, pronta a scappare via.
”Non accetto le vostre scuse né i vostri ordini, e non abbasso la guardia my lord”.

“Sophie, non costringetemi a….”
Lei lo guardò dapprima con aria di scherno. Poi la sua espressione da canzonatoria e spavalda si fece  improvvisamente seria quando vide comparire nelle mani di Thomas una seconda spada. Affilata e pericolosa.
”Dove diavolo l’avete presa…?” chiese, mentre il suo viso sbiancava, non perché temesse che lui l’avrebbe potuta usare contro di lei, ma perché era sicura che se fosse riuscito a disarmarla avrebbe ripreso da dove era stato costretto a fermarsi. E questa volta con molta più determinazione. E rabbia.

“Allora, volete lasciare quella lama, adesso?” Il tono della voce di THomas era quello di chi era ormai stanco di sopportare e stava per passare all’azione. Intanto,  avanzava verso di lei, decisamente in posizione d’attacco.
Sophie imboccò con un salto la porta del box, la richiuse e fece per scappare verso l’ uscita delle scuderie. Ma Maylon era già alle sue spalle. Non sapendo cosa fare, si girò di scatto, e portò un colpo, che Maylon parò senza alcuna fatica.
”Avete perso quel poco di testa che vi rimaneva?” le chiese sbigottito.

“Forse, signore.” SI slanciò contro di lui e colpì nuovamente. Thomas fece un salto indietro, più per timore che lei si ferisse che di essere ferito lui stesso. Sophie non si ritrasse. E colpì di nuovo.
”Allora, my lord, state semplicemente ad osservare o vi decidete a portare qualche colpo? Forse non siete poi un così bravo spadaccino come si dice.”
Un altro colpo, inferto con la punta della spada. Una provocazione. Una presa in giro.
Maylon era fuori di sé e la guardava come se fosse completamente pazza.
“Su, my lord, solo qualche ora fa volevate battervi a duello ed ora non riuscite neppure a parare i colpi di una donna?”

“Non voglio parare i vostri colpi. Voglio prendervi a sculacciate, perché avete il cervello di una bambina di dieci anni.”
Maylon avanzò. Sophie, ridendo, si ritrasse: la sua meta era la porta.
Ancora un colpo di Sophie.
”Ora vi prendo e ve la faccio pagare. Forse userò un frustino, o forse le mie stesse mani, o un bastone,  sì penso proprio che userò un bastone per farvi abbassare la cresta…”
”Divertente, my lord, ma dovrete prendermi, prima…”
In quel momento Sophie si accorse che Thomas era distratto. Aveva allentato la presa intorno all’elsa e distolto l’attenzione dalle lame. Stava guardandole la camicia che si era aperta lasciando intravedere…. Aveva perso totalmente la sua concentrazione per darle una sbirciatina al seno nudo. Che imperdonabile leggerezza! Peggio per lui. E decise di affondare. Come Mark le aveva insegnato. Passo, passo, lama a destra, aggancio, primo giro di polso verso destra, secondo  a sinistra e…voilà.
Si sentì un clang: era la spada di Maylon che cadeva a terra.
Disarmato. My lord era disarmato!

Per la sorpresa, lui indietreggiò e incredibilmente ...inciampò, finendo a gambe levate. La bocca spalancata, gli occhi sgranati,  la spada a un paio di metri da lui.
La scena si presentava davvero esilarante e Sophie non potè non scoppiare a ridere. Fragorosamente, come  non ci fosse modo di mettere  fine a quella risata irridente e più tagliente della spada stessa. Gettò l’arma a terra e lo guardò, con uno luccichio negli occhi che urlava al mondo intero, “ho vinto, my lord”.
Il luccichio negli occhi di Maylon, al contrario, prometteva solo vendetta.
Lei gli mandò un bacio con la mano e scappò via, bloccando dietro di sé la porta d’ingresso della stalla con il pesante chiavistello. Pensava che avrebbe sentito  Maylon tuonare, imprecare, maledirla. E invece lo sentì ridere. Così forte che cominciò a ridere anche lei. Separati da una pesante porta, entrambi ridevano, con una intimità che le fece paura.
“Non crediate che non ve la farò pagare!” le urlò dietro.
“No vedo l’ora,my lord,” lo provocò, sempre ridendo.
Lord Maylon stava già armeggiando per aprire il pesante battente. Ci avrebbe messo qualche minuto prima di riuscire a liberarsi.
Sophie sospirò. Avrebbe voluto riaprire quel catenaccio, entrare nella stalla e richiudere la porta dietro di lei. Avrebbe voluto cadergli fra le braccia e lasciare che lui la baciasse e… gliela facesse pagare. Ma scacciò quel pensiero accattivante e si diresse dove Buddy nervosamente la aspettava. Montò in sella e partì al galoppo prima che Thomas potesse uscire dalle scuderie e raggiungerla.
 Lampi color dell’oro fuso illuminavano un cielo sempre più nero.  





1 commento:

  1. Sono decisamente d'accordo con te: il romance è terapeutico! E questo estratto è davvero coinvolgente. Spero proprio che tu ti decida a ripubblicare questo tuo romanzo d'esordio perché secondo me merita.

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