sabato 16 aprile 2016

TORNA KEN BENTON IN UN AMORE DI INIZIO SECOLO - DI NUOVO INSIEME




Ecco, ci siamo. O meglio, ci sono. Forse. Speriamo.

A breve Emma Books pubblicherà il capitolo (per il momento quello finale) della mia "serie blu" tardo-vittoriana, iniziata con Un amore di fine secolo e proseguita con La Traversata
Il terzo capitolo della serie è dedicato a Ken Benton, incontrato in entrambi i precedenti romanzi. Nel primo era l'antagonista dell'eroe, l'altro insomma, ma poi mi ci sono talmente affezionata che ho voluto offrirgli una chance per riscattare la sua felicità e la mia coscienza. Onnipotenza degli scrittori! E così ho fatto, iniziando la sua storia con il  prequel La Traversata. La Traversata è un romanzo breve, non auto-conclusivo, un prequel, insomma, in cui Ken incontra durante la traversata atlantica che lo porta da New York in Inghilterra la sua anima gemella, Priscilla Talbott. La trova, ma alla fine, la perde nelle nebbie di Liverpool, scherzetto che non è piaciuto a molte lettrici. :) Forse, con l'uscita di questo nuovo romanzo, conclusivo, verrò perdonata. Dstribuito presumibilmente verso la fine di maggio, UN AMORE DI INIZIO SECOLO - DI NUOVO INSIEME si svolge tutto (o quasi) in Inghilterra e vede finalmente il coronamento della storia d'amore di Ken e Priscilla. Li ho lasciati soffrire per un po' di tempo, ma poi, alla fine, spero di essermi fatta perdonare da entrambi. 


Più sotto trovate l'incipit

La mia serie blu (dal colore della copertina, non perché io mi senta Picasso) si compone di...


Un amore di fine secolo

maggio 2014 - EmmaBooks


È il 1898 e Camille Brontee, sfuggita al grigiore di Liverpool e della sua vita, sbarca a New York per andare incontro a un matrimonio combinato. Peccato che il promesso sposo, il “bastardo americano”, come subito lo soprannomina lei, non si presenti all’appuntamento. Per Miss Brontee inizia così l’avventura nel Nuovo Mondo, dove tutto è possibile, dove persino una donna può entrare a far parte di un universo tutto maschile come quello della redazione di un giornale, il Daily, e vivere una travolgente storia d’amore. Ma con chi? Con l’impacciato erede di un impero finanziario, Ken Benton, che la rispetta e la venera come una vestale, o con l’arrogante Frank Raleigh, spregiudicato editore del Daily, la cui sola vicinanza scatena in lei una guerra continua tra il cuore e la mente? Dovrà attendere gli ultimi sgoccioli del XIX secolo per scoprirlo...
Un Amore di Fine Secolo è un’appassionata quanto tormentata storia d’amore. Sullo sfondo, tra realtà e finzione: una New York moderna e vibrante, il mondo dell'editoria e della finanza, i capricci della high society, i conflitti sociali e le prime rivendicazioni femminili. Ma non solo. C'è un altro personaggio che sgomita e spinge lungo tutto il romanzo per emergere: è il Novecento, il nuovo secolo, con le sue promesse e le sue speranze. Per Camille, il secolo dell'amore.




La traversata - Un amore di inizio secolo 

dicembre 2014 - EmmaBooks


Primo gennaio 1900. L’Oceanic II, il più moderno e lussuoso transatlantico del mondo, salpa da New York alla volta di Liverpool. È un piccolo mondo galleggiante dove, tra burrasche, feste in maschera e fiabe che ritornano, tutto può accadere. Anche di incontrare il vero amore. Chissà se accadrà a Ken Benton, ambito scapolo di New York in viaggio verso il Vecchio Continente per dimenticare una storia finita male. O a Priscilla Talbott, la misteriosa bibliotecaria di bordo che si esprime come una lady e di cui nessuno conosce il passato. Ma il nuovo secolo in fondo è appena cominciato, e la parola speranza è sulla bocca di tutti. Il romanzo breve Un amore di inizio secolo - La traversata inizia dove Un amore di fine secolo terminava ed è dedicato a Ken Benton, uno dei protagonisti più amati dalle lettrici del precedente capitolo. Ma attenzione: la storia di Ken comincia sull’Oceanic, ma non è sull’Atlantico che si concluderà. Poi non dite che non ve l’avevamo detto.



Un amore di inizio secolo - Di nuovo insieme
coming soon


È a Londra, nella capitale del più potente impero del pianeta, che Ken inizia la sua ricerca di Priscilla e, forse, di un nuovo amore. Sullo sfondo, il XX secolo compie i suoi primi passi...


L'incipit 

1

3 marzo 1900
Ken Benton scese gli scalini della sua nuova residenza londinese, nella prestigiosa Eaton Square. La piazza, oblunga e con sei splendidi giardini privati nel centro, era stata progettata e costruita nel secolo precedente dal secondo conte di Grosvenor, in seguito Duca di Westminster, così come le vicine Belgravia e Chester Square.
Secolo precedente: ma lo si poteva definire veramente così?
Ken Benton, che aveva visto la luce a Brooklyn nel settembre del 1870, non si era ancora abituato a considerare il XIX secolo come un’epoca da dimenticare né, per la verità, ad accettare i toni roboanti dei giornali quando parlavano del ‘900, destinato, scrivevano, a grandi cose.
Cose grandi come la guerra dei Boeri, rifletteva Ken, sarcastico. In fondo, i morti per la conquista di nuove terre e ricchezze non differivano poi tanto da quelli del secolo precedente, e l’Inghilterra, in quella corsa al dominio, deteneva ancora il primato.
Montando sulla carrozza che ogni giorno alle otto precise veniva a prelevarlo per portarlo alla filiale londinese della Benton Bank, nella City, levò gli occhi alla perfetta facciata di stucco bianco della sua nuova casa, uguale alle altre che contornavano il lato nord della piazza, e ancora una volta scosse la testa, pensando alla cifra spropositata e del tutto inutile investita nell’affitto, visto che tra quelle mura ci dormiva soltanto.
E, per dormire, mille metri quadrati di puro lusso erano davvero tanti. 
Non che la scelta di suo padre fosse stata ridondante senza un motivo. Nient’affatto. Quello, infatti, era uno dei quartieri di Londra più esclusivi, dove abitavano solo nomi altisonanti dell’aristocrazia, conti, duchi e marchesi, gente che, sempre secondo suo padre, gli sarebbe stato utile conoscere per il lavoro. «Capitale per la banca» li aveva definiti, senza supporre che molti di quei nobili non avevano più il becco di un quattrino. Il denaro ormai, anche nella aristocratica Inghilterra, non si fregiava più di un titolo nobiliare.
«Buongiorno Bob» disse al cocchiere.
«Buongiorno Mr Benton. Brutta nebbia oggi.»
Ken gli sorrise e si accomodò sulla vettura respirando l’acre odore dello smog londinese di cui, ormai, doveva aver tappezzati i polmoni. Nato e cresciuto a New York, dove il freddo dell’inverno poteva essere inclemente ma dove l’aria era sempre pulita grazie ai venti che andavano e venivano dall’oceano, non si era ancora assuefatto al clima umido e spesso opprimente di Londra, al tanfo quasi solido che la nebbia portava con sé e che arrivava da sud, dalle fabbriche e dai ghetti insalubri dove giorno dopo giorno si riversavano dalla campagna migliaia di persone.
A Londra, nel 1900, si contavano circa sei milioni di abitanti, un numero di anime spropositato di cui ancora non riusciva a capacitarsi.
«La posta del mattino e il Times, signore. Buona giornata.»
Con quella frase, tutti i giorni la stessa, il suo cameriere personale, James, che lo serviva da quando non aveva più avuto una bambinaia tra i piedi, gli consegnò il plico della corrispondenza appena arrivata, che lui, come sempre, avrebbe letto durante il tragitto sino alla City. Una mezz’ora che, nelle sue giornate piene di impegni, non sarebbe andata sprecata.
«Grazie, James, buona giornata anche a te.»
La portiera si chiuse e l’hackney si mosse in direzione di Buckingham Palace, per imboccare quindi il Mall e Fleet Street sino alla City.
New York era grande, certo, ma non era che un villaggio in confronto a Londra. D’altronde, non era quella la capitale dello Stato più potente della Terra? L’Impero della Regina Vittoria abbracciava più di mezzo mondo ed era in perenne espansione, se così, con un eufemismo, si poteva descrivere la fame colonialista del Regno.
Be’, loro, gli yankee, come certi boriosi aristocratici continuavano a definirli con un sorrisetto arrogante sul volto, gliel’avevano fatta vedere. A Boston il tè di sua Maestà era finito nelle acque dell’oceano. Poi la Rivoluzione Americana aveva fatto il resto.
Per quanto fosse nato circa cent’anni dopo gli eventi che avevano condotto i coloni a ribellarsi alla Corona, Ken Benton sentiva battere nel cuore un palpito di orgoglio al pensiero di come la sua Nazione, la sua giovanissima Nazione, si stesse preparando a superare la Vecchia Europa a colpi di progresso. Perché, nonostante gli enormi problemi e le disparità e le contraddizioni del suo territorio immenso e in gran parte ancora selvaggio, l’America stava marciando verso il futuro a una velocità doppia, se non tripla, rispetto al resto del mondo. E lui, quella velocità, la sentiva correre dentro di sé, insieme al suo sangue yankee.
Superato Buckingham Palace, Ken si concentrò sulla posta giunta quella mattina. Quasi tutta corrispondenza personale, visto che le comunicazioni d’affari gli arrivavano in ufficio. Inviti a serate, a cene in club esclusivi e ristoranti alla moda, a teatro, all’opera. Sembrava che in quel Paese gli obblighi sociali fossero addirittura più pressanti che nel suo. E la Stagione, a quanto gli avevano spiegato, non era che all’inizio, visto che andava di pari passo con l’apertura delle due Camere del Parlamento.
Di certo gli inviti si sarebbero moltiplicati da lì a poche settimane, quando tutte le famiglie aristocratiche d’Inghilterra si fossero riversate dalle loro tenute di campagna nelle case della capitale, pronte a gettarsi in una girandola di impegni mondani come animali appena usciti dal letargo sul cibo.
Be’, in fondo era per quello che era venuto sino a Londra. Per stringere nuove alleanze, per trovare nuovi clienti, per mostrare a questo vecchio mondo che la Benton Bank non era solo un salvadanaio dove deporre le proprie fortune, ma anche un’utile alleata nello sviluppo dei propri interessi e progetti.
Lo hackney si infilò nella City per fermarsi, pochi minuti dopo, di fronte al palazzo della Benton Bank, progettato dal famoso architetto Arthur Blomfield e dal figlio di questi, Arthur Conran. Un edificio lineare, moderno ed elegante che faceva apparire dinosauri di pietra le vicine e monumentali sedi delle banche dei Rotschild e dei Barclay.
Ken non attese che il portiere gli aprisse la portiera e come sempre saltò giù dalla carrozza senza dare troppo peso alle formalità. D’altronde, nella City, tutto scorreva veloce e di tempo per cerimonie inutili non ce n’era.
Il valletto all’ingresso gli diede il buongiorno mentre lui già si infilava nella porta girevole.
«Buongiorno Mr Benton» lo salutò il suo segretario che, come di consueto, lo attendeva nel grande atrio con l’agenda degli appuntamenti in mano.
«Buongiorno a voi, Stuart» rispose porgendogli la posta del mattino, suddivisa in due mucchi distinti, accettare e rifiutare.
Senza smettere di parlare, i due uomini si diressero a passo veloce verso gli ascensori ma, invece di infilarsi in una delle tre cabine in attesa, presero le scale e salirono a piedi al primo piano dove, tra un buongiorno Mr Benton e l’altro, raggiunsero l’ufficio di Ken.
«Chi è il mio primo appuntamento, Stuart?»
«Richard Burbridge, amministratore dei grandi magazzini Harrod’s.»

*

Un paio di ore più tardi, mentre Ken e Burbridge discutevano ancora i termini del finanziamento per la costruzione di una nuova sede dei grandi magazzini in Brompton Road, l’interfono trillò. Sulle prime Ken non poté evitare un’espressione di disappunto, ma poi ci ripensò visto che era insolito che Stuart lo disturbasse durante un incontro importante.
«Perdonate un istante, Mr Burbridge» disse portandosi la cornetta all’orecchio.
Che ci fossero notizie preoccupanti dalla Borsa, o forse da casa? Quella pazza di sua sorella sembrava essersi invaghita di un architetto…
«Scusate se vi disturbo, Mr Benton…»
«Spero che sia molto importante, Stuart.»
«Mr White, signore, chiede di voi. E Mr White, come vi siete raccomandato più volte, ha priorità su tutto.»
A Ken sembrò che il respiro gli si fermasse in gola. Fissò Burbridge cercando di sorridere, ma non ci riuscì. Che White l’avesse trovata? Che almeno avesse notizie utili?
«Scendo subito, pregatelo di aspettarmi alla recepetion, Stuart» rispose. Poi, rivolto al suo ospite: «M-Mr Burbri-idge, mi co-concedete cinque mi-inuti per p-piacere?» Dannazione alla balbuzie!
«Ma certo, Mr Benton, ma in cambio pretenderò un occhio di riguardo per il nostro piano di investimento…» scherzò l’uomo.
«F-Forse, Mr Burbridge, forse.»
E, senza un’altra parola, Ken uscì dall’ufficio.

*

Mr White lo attendeva al banco della reception. Era un uomo di mezz’età che aveva lavorato per due decenni a Scotland Yard e che da qualche anno aveva aperto una sua agenzia investigativa. Aveva due occhi scuri e pungenti che non smettevano di guardarsi attorno e stringeva una pipa tra i denti, forse per emulare il suo più famoso collega Sherlock Holmes. Ken si era rivolto a lui poco dopo essere sbarcato dall’Oceanic II, circa due mesi prima, quando la White Investigation Agency era assurta agli onori della cronaca per aver risolto con successo il caso di una donna scomparsa. Tuttavia, fino a quel giorno, nonostante la fama che lo precedeva e i soldi che già si era intascato, Mr White non era stato in grado di fornirgli un solo indizio di dove diavolo fosse finita Priscilla Talbott. Miss Talbott, la deliziosa bibliotecaria che aveva incontrato sull’Oceanic II, la donna misteriosa che aveva trasformato una traversata fredda e solitaria in sei giorni che non avrebbe mai dimenticato. Dannazione! Prima, con quei suoi occhi blu gli aveva fatto perdere il senno, poi, neanche fosse Houdini, si era dileguata nella nebbia di Liverpool sfuggendogli da sotto il naso. Ken era ancora furente per lo scherzo che gli aveva giocato, eccome se lo era, ma soprattutto era preoccupato.
Mr White, vedendolo arrivare, scattò quasi sull’attenti, abitudine probabilmente maturata negli anni in polizia.
«C’è un posto dove possiamo parlare in privato, Mr Benton?»
«Avete no-notizie?»
L’uomo assentì, guardandosi intorno come se temesse che ci fosse qualche spia in agguato e ribadendo così  la sua richiesta di recarsi in un luogo riservato.
«S-seguitemi» disse Ken infastidito, precedendolo in un salottino e prendendo posto intorno al tavolo che costituiva, insieme a un piccolo attaccapanni, l’unico mobilio della stanza.
White gli sedette di fronte.
«Dunque, p-potete infine darmi notizie di Miss T-Talbott?»
«A dire il vero, non sono in grado di fornirvi gli spostamenti di Miss Talbott dopo lo sbarco dall’Oceanic e non so neppure dirvi dove la signorina si trovi in questo momento, Mr Benton.»
Ken lo guardò senza nascondere la propria insoddisfazione.
«Ma ho finalmente scoperto il nome completo della sua famiglia di origine.»
White fece una pausa a effetto che non fece che irritare Ken ancor di più.
«E allora?» lo incitò.
«Miss Priscilla Talbott non è una commoner, una qualsiasi borghese, è la figlia del conte di Alberly, George Hammersen Talbott. Voi sapete come funziona con gli aristocratici, in Inghilterra?»
A Benton vennero in mente un paio di battute non proprio signorili, ma se le tenne per sé.
«Non ne sono p-più certo, a questo punto.»
«È molto semplice, in realtà. Un nobile titolato non usa mai il proprio cognome.»
«Troppo p-plebeo o troppo sensato?» chiese Ken con un sarcasmo per nulla velato.
White, da britannico orgoglioso, ignorò la battuta.
«I nobili in Inghilterra vengono chiamati con il loro titolo, non con il cognome di famiglia. Per fare un esempio, nessuno chiamerà mai il conte di Alberly George, o Hammersen o Talbott, ma solo Lord Alberly o, se in confidenza, Alberly.»
«Molto interessante, White. Cosa c’entra tutto ciò con P-Priscilla?» L’irritazione di Benton era salita di un altro grado.
«Arrivo subito al punto, sir. Se il primo cognome del conte, Hammersen, è conosciuto a pochi, reputo che il secondo, Talbott, sia sconosciuto a tutti. Non è un caso che Lady Priscilla Alberly – questo è il modo corretto in cui dovreste rivolgervi a lei – abbia scelto di farsi chiamare proprio Talbott, desiderando rimanere nell’ombra; una mossa astuta per far perdere le sue tracce a eventuali inseguitori, negli Stati Uniti come nel Regno Unito. Se mi aveste chiesto di rintracciare Miss Hammersen e non Miss Talbott, avreste risparmiato tempo e denaro.»
«E non avrei avuto bisogno dei vostri servigi, Mr White» rispose Ken, secco.
Priscilla la figlia di un pari d’Inghilterra? Ciò giustificava le sue maniere impeccabili, la sua cultura e quel tocco di ironica presunzione che, nonostante gli sforzi, non riusciva a nascondere.
«Quello che non capisco» disse Ken, come a se stesso, «è che bisogno aveva la figlia di un conte di imbarcarsi su una nave come bibliotecaria.»
«Stavo per arrivarci, Mr Benton. Ci sarebbe anche un altro fatto importante…» disse il detective gonfiandosi come un pavone.
«Dite, vi ascolto» lo incalzò Ken con un brutto presentimento.
«Priscilla Talbott non è solo la figlia del conte di Alberly, ma è anche la moglie del senatore degli Stati Uniti d’America Robert Roolick.»
A quella notizia Ken abbandonò ogni pretesa di calma e, scattando in piedi, urlò un «Cosa?» tanto oltraggiato che White arretrò leggermente col busto, quasi per proteggersi dallo spostamento d’aria. Non conosceva Roolick personalmente, ma ciò che aveva sentito di lui non era affatto lusinghiero. E poi, dannazione, doveva avere almeno cinquant’anni!
«Ebbene sì, Mr Benton. Lady Priscilla Alberly si è unita in matrimonio col senatore Roolick a Londra nel 1897, poi lo ha seguito a Washington.»
Priscilla sposata! Non era possibile.
«Non sapete altro?» si sforzò di chiedere mentre i suoi pensieri prendevano mille direzioni diverse.
«Al momento posso solo presumere che Lady Priscilla Alberly, dopo aver lasciato l’Oceanic II il sei dello scorso gennaio, si trovi ancora in Inghilterra, a meno che non si sia servita di un’imbarcazione privata per raggiungere il continente. Nessuna Priscilla Talbott risulta infatti iscritta nei registri di passeggeri e personale delle linee che collegano il Regno Unito con l’Europa. E, in quanto all’Irlanda, se quella fosse stata la sua meta, perché non sbarcarvi direttamente, visto che l’Oceanic vi ha fatto tappa?»
Ken rifletté su quelle ultime informazioni, poi chiese, preoccupato: «Escludete, dunque, che abbia proseguito il viaggio verso un altro stato europeo?»
Mr White sbuffò del fumo e gli puntò contro la pipa. «In mancanza di altri indizi, credo di poter affermare che la donna che cercate si trovi ancora nel Regno Unito e che il suo ritorno in patria, imbarcata come aiuto-bibliotecaria su un transatlantico e non su una cabina di prima classe, possa significare solo che…»
«…che stava fuggendo dal marito» concluse Ken, risedendosi pesantemente sulla sedia.
Non solo Priscilla era un’aristocratica e la moglie di un senatore degli Stati Uniti, ma era anche una donna in fuga. Dove si nascondeva? Come riusciva a sopravvivere?
«In ogni caso, non dubitate, Mr Benton, la troverò» aggiunse White porgendogli una busta piuttosto voluminosa. «Qui troverete il rapporto completo. Conto di aggiornarvi presto con altre informazioni.»
Ken, preso alla sprovvista da quell’ultima notizia, cercò di ricordare se mai, durante la traversata, Priscilla avesse rivelato, col suo comportamento o le sue parole, di essere una fuggitiva. E se fosse stata in pericolo? Se si fosse trovata in difficoltà economiche così stringenti da mettere a rischio la propria sicurezza?
Afferrò la busta e stringendone i bordi come se volesse strozzare qualcuno, disse: «V-voglio sa-sapere tutto sul senatore Roolick, ogni dettaglio della sua vita».
«Mi sono già permesso di inviare un telegramma alla sede di Washington dell’agenzia Pinkerton con cui spesso collaboriamo. Presto avremo altri elementi su cui indagare. Potrebbe esserci un amante…»
Un amante, Priscilla? No, non era possibile.
«Mr White, vi prego di non mancare di r-rispetto a Miss Talbott…»
«Lady Priscilla Alberly, Mr Benton, o Mrs Roolick. Non più Miss Talbott. E, credete, non volevo affatto mancare di rispetto alla signora. Era la voce dell’esperienza a parlare per me.»
Ken fece un segno di impazienza con la mano. «In ogni caso, non abbandonate le ricerche qui nel Regno Unito, e impiegate tutte le risorse necessarie per trovare Miss Talbott, o come diavolo si chiama quella donna. Desidero ricevere ogni mattino un rapporto sull’andamento delle indagini. Ora, se permettete» disse alzandosi in piedi e dirigendosi alla porta, «sono piuttosto occupato.»
«Sarà fatto» rispose il detective con un piccolo inchino.
Ken affidò White a Stuart e poi, a grandi falcate, se non di corsa, tornò nel suo ufficio, indifferente alle occhiate perplesse degli impiegati che lo salutavano e che lui neppure vedeva. Voleva concludere presto la trattativa con Burbridge e poi dedicarsi al rapporto di White.
Che Priscilla fosse una contessa non gli importava molto, ma che fosse una donna in fuga, e forse con un amante, be’... quella era tutta un’altra storia.

***

La giovane donna che rispondeva al nome di Priscilla Talbott, o di Lady Priscilla Alberly o ancora di Mrs Robert Roolick, in quello stesso momento si trovava nell’Essex in un cottage isolato all’interno della principesca tenuta della sua madrina, la duchessa di Monrose. In quel cottage, riparata da sguardi indiscreti, ripensava al proprio passato e tesseva piani per il futuro.
Non che fino a quel momento avesse tessuto granché. Forse perché aveva esaurito tutto il suo coraggio e le sue risorse, nel tentativo, più che riuscito, di rientrare in Inghilterra in un modo che aveva a dir poco dell’avventuroso, ovvero imbarcandosi su un transatlantico non come una passeggera di prima classe, ma in forza al personale della nave, con il curioso incarico di aiuto-bibliotecaria.
Era stata una vera benedizione che, per un fortuito insieme di circostanze, fosse riuscita a ottenere quel posto sull’Oceanic II. In primo luogo perché era fuggita da Washington con solo una manciata di dollari che aveva sottratto come una ladra a suo marito e che non sarebbe bastata neppure per acquistare un biglietto di terza classe; e in secondo luogo perché, mimetizzata tra il personale della nave, era riuscita a nascondersi agli scagnozzi che di certo il suo consorte aveva sguinzagliato lungo tutta la costa est degli Stati Uniti.
Ottusi bastardi!
Probabilmente avevano messo a ferro e fuoco le liste passeggeri di tutte le navi in partenza dagli Stati Uniti in cerca di una Lady Priscilla Alberly o di una Mrs Roolick, non avevano però neppure pensato di cercare una Talbott in forza agli equipaggi.
Un sorriso piegò le sue belle labbra, nonostante il pensiero di cosa le sarebbe potuto accadere se l’avessero trovata e riportata a lui non la lasciasse mai. Ma non era successo e ora era a casa, sana e salva.
Non proprio, non ancora.
Con l’aiuto del cielo e della sua madrina, però, lo sarebbe stata presto.
Forse.
Proprio in quel momento la duchessa di Monrose fece il suo ingresso nel cottage, in perfetta tenuta da amazzone verde acqua.
«Bambina mia, ho buone notizie per te!»
«Davvero ne avete, madrina?» disse Priscilla correndo verso di lei e fissandola speranzosa.
«Sì, i miei ospiti se ne andranno domani, così potrai smettere di rimanere rintanata qui dentro» rispose con un eloquente gesto della mano.
Priscilla aveva sperato in qualcosa di più concreto, come nella risposta di Mr Simmons, l’avvocato di sua grazia. Sospirò, ripetendosi per l’ennesima volta che doveva avere pazienza. «Sì, ma…» disse esitante.
«Continua, Priscilla» la esortò la duchessa.
«Non potrò mai ringraziarvi abbastanza per l’ospitalità e il sostegno che mi offrite, ma vorrei poter fare qualcosa di più, non rimanere qui ad aspettare che qualcosa succeda. Vorrei agire, risolvere la situazione…»
«Non correre, bambina mia, non correre. In certi casi la strategia migliore è la pazienza. In fondo, quell’animale di tuo marito si trova dall’altra parte dell’oceano...»
Priscilla sentì un brivido percorrerla. «Il punto è, madrina: per quanto ancora? Non rinuncerà a me tanto facilmente… Sono certa che avrà già mandato qualcuno dei suoi uomini a cercarmi a Londra.»
«Ed è proprio questa la ragione per cui ti nascondi in un cottage, nella campagna dell’Essex, dove nessuno può trovarti…» sospirò sua grazia. «Ma, tutto sommato, non è un errore cominciare a pensare al futuro e mettere le basi per la tua nuova vita.»
Priscilla sospirò cercando di tenere a bada l’agitazione che ormai non la lasciava mai. «Per poterlo fare, devo cancellare quella precedente dai miei ricordi, madrina.» E dalla mia pelle.
La nobildonna prese per mano la figlioccia. «Vieni, sediamoci davanti al camino che sono gelata!» disse prendendo posto mentre Abigail, l’anziana domestica che conosceva Priscilla da sempre e che si era trasferita nel cottage con lei, entrava con un vassoio che profumava di dolci appena sfornati.
«Vostra grazia» disse la donna senza sprecare energie in inchini o altre cerimonie, «se Prissy non si decide a mangiare qualcosa, come farà a trovare un altro marito? È tutta ossa!»
Prissy, ovvero Priscilla, alzò gli occhi al cielo. «Abigail, quante volte ti devo dire che non intendo trovare un nuovo marito, ma solo liberarmi di quello che purtroppo ho già?»
La duchessa sorrise. «Abigail ha ragione, Priscilla. Se vuoi lottare per riconquistare la tua libertà e occupare il posto che meriti in società, devi essere in forze. Devi mostrarti al mondo al massimo del tuo splendore. Un’aristocratica capace di dominare la propria vita.»
Priscilla alzò le sopracciglia, perplessa. In America aveva imparato che ci volevano potere e denaro per essere padroni della propria vita, non un titolo. E lei non possedeva che quello. Senza contare che non poteva certo sperare nell’aiuto del padre, dal momento che era stato proprio lui a venderla a Roolick.
«Abigail, prenderò anch’io una tazza di tè e una fetta di…» disse la duchessa guardando il vassoio.
«Crostata al rabarbaro, vostra grazia.»
«Uhmmm, la mia preferita. Anche Prissy ne prenderà un po’, vero, tesoro?»
Priscilla cercò di protestare, ma alla fine si ritrovò con una grossa fetta nel piatto. «Umm, è davvero ottima, Abigail» ammise dopo averne assaggiato un boccone. Quindi, rivolgendosi alla duchessa, chiese ciò che più le premeva sapere: «Madrina, per caso avete ricevuto nuove da Mr Simmons?»
La duchessa terminò di bere il suo tè e depose con un gesto grazioso tazzina e piattino sul vassoio. «No, mia cara, ma confido nell’esperienza e nella sollecitudine di Mr Simmons. E, in ogni caso, appena compirai i venticinque anni, sarai del tutto affrancata dalla tua famiglia di origine e ci sposteremo a Londra. In fondo mancano solo due settimane al ventuno di marzo, no? Il primo giorno di primavera e della mia Priscilla…»
Priscilla sospirò, leggermente irritata dai tentativi della duchessa di farle apparire il futuro tutto rose e fiori. Altro che primavera! Il gelo che sentiva dentro era quello di un inverno artico.
«Non so neppure se avrò la forza di tornare a Londra e affrontare quel circo. Non sono più la stessa ragazzina di un tempo, tanto stupida e ingenua da credere a tutte le fiabe che le venivano raccontate.» 
Fiabe? Sarebbe stato meglio chiamarle con il loro nome, frottole.
La duchessa sorrise alla sua protegée. «Neppure a Cenerentola credi più, piccola mia? Ricordo ancora come ti illuminavi quando la leggevamo insieme…»
«Sapete, madrina, che il libro di fiabe che mi avete regalato per il mio sesto compleanno e sul quale ho imparato a leggere ha attraversato l’oceano insieme a me per ben due volte? Non me ne sono mai separata.»
«Davvero ce l’hai ancora?»
«Dal giorno che me l’avete donato non l’ho mai lasciato.»
Sua grazia, una donna che difficilmente permetteva alle emozioni di avere la meglio sul controllo, si asciugò di soppiatto una lacrima e, con la scusa di dover tornare dai suoi ospiti, lasciò in fretta e furia il cottage.
«Ho visto poche volte sua grazia versare delle lacrime. Sono contenta che l’abbiate fatta piangere, Prissy, così ogni tanto si ricorda di essere umana» disse Abigail con fare rude.
Priscilla sorrise. «Le voglio bene come a una madre e vorrei non vederla in pena per me.»
«E lei vi vuole bene come se foste figlia sua. Vedrete, vi aiuterà a sistemare le cose. Su, ora, prima che ci mettiamo tutte quante a frignare, perché non andate a prendere una boccata d’aria? La giornata è bella e camminare vi farà bene.»
Priscilla si diresse a una delle piccole finestre del cottage e fissò per qualche istante l’erba della radura mossa dal vento e le morbide colline all’orizzonte; poco per volta osservò la loro forma mutare e trasformarsi nelle onde irrequiete dell’Atlantico. In un istante fu di nuovo sull’Oceanic II, accanto a Ken Benton: lui le sorrideva e, con quella sua lieve e adorabile balbuzie, le prometteva che tutto sarebbe andato bene.
«Allora, Prissy, la vostra passeggiata?»
Le onde dell’Atlantico tornarono a essere i verdi prati dell’Essex e Ken Benton ritornò al caldo, nell’angolino che ormai occupava nel suo cuore.
«Sembra quasi che tu voglia liberarti di me, Abigail!»
«Voglio solo che ritorni un po’ di colore su quelle belle guance, siete pallida come uno straccio, piccola mia.»
«Vado, vado, in fondo hai ragione: due passi e un po’ di aria fresca mi faranno bene.»

Il resto a maggio. 
Fatemi sapere se l'incipit vi è piaciuto!
Yours truly
                  Viviana






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